CEMENTIFICAZIONE
Basta con le ruspe - salviamo l'Italia
In 15 anni edificati tre milioni di ettari di territorio, l'equivalente di Lazio e Abruzzo messi insieme. E con il piano casa il processo ha avuto un'accelerazione. Appello per fermare lo scempio del paesaggio, prima che sia troppo tardi di CARLO PETRINI
Visto che in tv i plastici per  raccontare i crimini più efferati sembrano diventati irrinunciabili,  vorrei allora proporne uno di sicuro interesse: una riproduzione in  scala dell'Italia, un'enorme scena del delitto. Le armi sono il cemento  di capannoni, centri commerciali, speculazioni edilizie e molti impianti  per produrre energia, rinnovabile e non; i moventi sono la stupidità e  l'avidità; gli assassini tutti quelli che hanno responsabilità nel dire  di sì; i complici coloro che non dicono di no; le vittime infine gli  abitanti del nostro Paese, soprattutto quelli di domani.
I dati  certi su cui fare affidamento sono pochi, non sempre concordanti per via  dei diversi metodi di misurazione utilizzati, ma tutti ci parlano in  maniera univoca di un consumo impressionante del territorio italiano.  Stiamo compromettendo per sempre un bene comune, perché anche la  proprietà privata del terreno non dà automaticamente diritto di poterlo  distruggere e sottrarlo così alle generazioni future. Circa due anni fa  su queste pagine riportavamo che l'equivalente della superficie di Lazio  e Abruzzo messi insieme, più di 3 milioni di ettari liberi da  costruzioni e infrastrutture, era sparita in soli 15 anni, dal 1990 al  2005. Dal 1950 abbiamo perso il 40% della superficie libera, con picchi  regionali che ci parlano, secondo i dati del Centro di Ricerca sul  Consumo di Suolo, di una Liguria ridotta della metà, di una Lombardia  che ha visto ogni giorno, dal 1999 al 2007, costruire un'area  equivalente sei volte a Piazza   Duomo a Milano. E non finisce qui: in Emilia Romagna dal 1976 al  2003 ogni giorno si è consumato suolo per una quantità di dodici volte  piazza Maggiore a Bologna; in Friuli Venezia Giulia dal 1980 al 2000 tre  Piazze Unità d'Italia a Trieste al giorno. E la maggior parte di questi  terreni erano destinati all'agricoltura. Per tornare ai dati  complessivi, dal 1990 al 2005 si sono superati i due milioni di ettari  di terreni agricoli morti o coperti di cemento.
Come si vede, le  cifre disponibili non tengono conto degli ultimi anni, ma è sufficiente  viaggiare un po' per l'Italia e prendere atto delle iniziative di  questo Governo (il Piano Casa, per esempio) e delle amministrazioni  locali per rendersene conto: sembra che non ci sia territorio, Comune,  Provincia o Regione che non sia alle prese con una selvaggia e  incontrollata occupazione del suolo libero. Purtroppo, nonostante il  paesaggio sia un diritto costituzionale (unico caso in Europa) garantito  dall'articolo 9, la legislazione in materia è in gran parte affidata a  Regioni ed Enti locali, con il risultato che si creano grande  confusione, infiniti dibattiti, nonché ampi margini di azione per gli  speculatori. Per esempio la recente legge regionale approvata in Toscana  che vieta l'installazione d'impianti fotovoltaici a terra sembra  valida, ma è già contestata da alcune forze politiche. In Piemonte è  stata invece approvata una legge analoga, ma meno efficace, suscitando  forti perplessità dal "Movimento Stop al Consumo del Territorio". In  realtà, in barba alle linee guida nazionali per gli impianti  fotovoltaici - quelli mangia-agricoltura - essi continuano a spuntare  come funghi alla stregua dei centri commerciali e delle shopville, di  aree residenziali in campagna, di nuovi quartieri periferici, di un  abusivismo che ha devastato interi territori del nostro Meridione anche  grazie a condoni edilizi scellerati.
Ci sono esempi clamorosi:  Il Veneto, che dal 1950 ha fatto crescere la sua superficie urbanizzata  del 324% mentre la sua popolazione è cresciuta nello stesso periodo solo  per il 32%, non ha imparato nulla dall'alluvione che l'ha colpito a  fine novembre. Un paio di settimane dopo, mentre ancora si faceva la  conta dei danni, il Consiglio Regionale ha approvato una leggina che  consente di ampliare gli edifici su terreni agricoli fino a 800 metri  cubi, l'equivalente di tre alloggi di 90 metri quadri.
Guardandoci  attorno ci sentiamo assediati: il cemento avanza, la terra fa gola a  potentati edilizi, che nonostante siano sempre più oggetto d'importanti  inchieste giornalistiche, e in alcuni casi anche giudiziarie, non  mollano l'osso e sembrano passare indenni qualsiasi ostacolo, in  un'indifferenza che non si sa più se sia colpevole, disinformata o  semplicemente frutto di un'impotenza sconsolata. Del resto, costruire fa  crescere il Pil, ma a che prezzo. Fa davvero male: l'Italia è piena di  ferite violente e i cittadini finiscono con il diventare complici se non  s'impegnano nel dire no quotidianamente, nel piccolo, a livello locale.  Questa è una battaglia di tutti, nessuno escluso.
Ora si sono  aggiunte le multinazionali che producono impianti per energia  rinnovabile, insieme a imprenditori che non hanno mai avuto a cuore  l'ambiente e, fiutato il profitto, si sono messi dall'oggi al domani a  impiantare fotovoltaico su terra fertile, ovunque capita: sono riusciti a  trasformare la speranza, il sogno di un'energia pulita anche da noi  nell'ennesimo modo di lucrare a danno della Terra. Anche del  fotovoltaico su suoli agricoli abbiamo già scritto su queste pagine,  prendendo come spunto la delicatissima situazione in Puglia. I pannelli  fotovoltaici a terra inaridiscono completamente i suoli in poco tempo,  provocano il soil sealing, cioè l'impermeabilizzazione dei terreni, ed è  profondamente stupido dedicargli immense distese di terreni coltivabili  in nome di lauti incentivi, quando si potrebbero installare su  capannoni, aree industriali dismesse o in funzione, cave abbandonate,  lungo le autostrade. La Germania, che è veramente avanti anni luce  rispetto al resto d'Europa sulle energie rinnovabili, per esempio non  concede incentivi a chi mette a terra pannelli fotovoltaici, da sempre.  Dell'eolico selvaggio, sovradimensionato, sovente in odore di mafia e  sprecone, se siete lettori medi di quotidiani e spettatori fedeli di  Report su Rai Tre già saprete: non passa settimana che se ne parli su  qualche testata, soprattutto locale, perché qualche comitato di  cittadini insorge. È sufficiente spulciare su internet il sito del  movimento "Stop al Consumo del Territorio", tra i più attivi, e subito  salta agli occhi l'elenco delle comunità locali che si stanno  ribellando, in ogni Regione, per i più disparati motivi.
Intendiamoci,  questo non è un articolo contro il fotovoltaico o l'eolico: è contro il  loro uso scellerato e speculativo. Il solito modo di rovinare le cose,  tipicamente italiano. Anche perché l'obiettivo del 20% di energie  rinnovabili entro il 2020 si può raggiungere benissimo senza fare danni,  e noi siamo per raggiungerlo ed eventualmente superarlo. Questo vuole  essere un grido di dolore contro il consumo di territorio e di suolo  agricolo in tutte le sue forme, la più grande catastrofe ambientale e  culturale cui l'Italia abbia assistito, inerme, negli ultimi decenni.  Perché se la terra agricola sparisce il disastro è alimentare,  idrogeologico, ambientale, paesaggistico. E' come indebitarsi a vita e  indebitare i propri figli e nipoti per comprarsi un televisore più  grosso: niente di più stupido.
Il problema poi s'incastra alla  perfezione con la crisi generale che sta vivendo l'agricoltura da un po'  di anni, visto che tutti i suoi settori sono in sofferenza. Sono  recenti i dati dell'Eurostat che danno ulteriore conferma del trend: "I  redditi pro-capite degli agricoltori nel 2010 sono diminuiti del 3,3% e  sono del 17% circa inferiori a quelli di cinque anni fa". Così è più  facile convincere gli agricoltori demotivati a cedere le armi, e i  propri terreni, per speculazioni edilizie o legate alle energie  rinnovabili. Ricordiamoci che difendendo l'agricoltura non difendiamo un  bel (o rude) mondo antico, ma difendiamo il nostro Paese, le nostre  possibilità di fare comunità a livello locale, un futuro che possa  ancora sperare di contemplare reale benessere e tanta bellezza.
Per  questo è giunto il momento di dire basta, perché rendiamoci conto che  siamo arrivati a un punto di non ritorno: vorrei proporre, e sperare che  venga emanata, una moratoria nazionale contro il consumo di suolo  libero. Non un blocco totale dell'edilizia, che può benissimo orientarsi  verso edifici vuoti o abbandonati, nella ristrutturazione di edifici  lasciati a se stessi o nella demolizione dei fatiscenti per far posto a  nuovi. Serve qualcosa di forte, una raccolta di firme, una ferma  dichiarazione che arresti per sempre la scomparsa di suoli agricoli nel  nostro Paese, le costruzioni brutte e inutili, i centri commerciali che  ci sviliscono come uomini e donne, riducendoci a consumatori-automi,  soli e abbruttiti.
Una moratoria che poi, se si uscirà dalla  tremenda situazione politica attuale, dovrebbero rendere ufficiale  congiuntamente il Ministero dell'Agricoltura, quello dell'Ambiente e  anche quello dei Beni Culturali, perché il nostro territorio è il primo  bene culturale di questa Nazione che sta per compiere 150 anni. Sono  sicuro che le tante organizzazioni che lavorano in questa direzione,  come la mia Slow Food, o per esempio la già citata rete di Stop al  Consumo del Territorio, il Fondo Ambientale Italiano, le associazioni  ambientaliste, quelle di categoria degli agricoltori e le miriadi di  comitati civici sparsi ovunque saranno tutti d'accordo e disposti a  unire le forze. È il momento di fare una campagna comune, di presidiare  il territorio in maniera capillare a livello locale, di amplificare  l'urlo di milioni d'italiani che sono stufi di vedersi distruggere  paesaggi e luoghi del cuore, un'ulteriore forma di vessazione, tra le  tante che subiamo, anche su ciò che è gratis e non ha prezzo: la  bellezza. Perché guardatevi attorno: c'è in ogni luogo, soprattutto  nelle cose piccole che stanno sotto i nostri occhi. È una forma di  poesia disponibile ovunque, che non dobbiamo farci togliere, che merita  devozione e rispetto, che ci salva l'anima, tutti i giorni.
Fonte dell'articolo: Repubblica
 
 
 
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