martedì 28 aprile 2009

IL “PIANO CASA” ALLA FIORENTINA

Le dichiarazioni indignate dei nostri amministratori locali, da quelli regionali a quelli comunali, di fronte allo scempio del territorio e delle nostre città annunciato dal cosiddetto “Piano Casa” di Berlusconi, sono poco credibili, se non addirittura risibili.

Come sappiamo, l’accordo Governo/Regioni prevede aumenti di volume del 20% per alcuni edifici residenziali esistenti (le villette uni-bi familiari), del 35% nel caso di demolizione e ricostruzione purché gli edifici non siano collocati nei centri storici o nelle zone tutelate.
Intanto sarà necessario vigilare sui provvedimenti che la Regione emanerà nei prossimi giorni, in applicazione del decreto Berlusconi. Le recenti dichiarazioni dell’assessore Conti, rilasciate al quotidiano “la Repubblica”, sono poco rassicuranti in questo senso, soprattutto quando dice che “si può andare oltre il 35% quando si tratta di ricostruzioni se si utilizzano esclusivamente materiali di bioedilizia”.
Vorremmo ricordare al nostro assessore che il consumo di beni primari essenziali, quali il suolo, l’aria, la luce, è tale anche se si utilizzano materiali ecologicamente corretti. Per valutare la sostenibilità degli ampliamenti ci si deve limitare alla valutazione dei soli materiali oppure è necessario considerare l’intervento nella sua globalità e le sue relazioni con il resto della città e del territorio? Pensiamo che questa dei materiali di bioedilizia sia l’ennesima foglia di fico dietro la quale si continua a consentire la cementificazione delle nostre città e a peggiorarne le condizioni di vivibilità.

Non solo, ma andando a controllare gli strumenti urbanistici, scopriamo che a Firenze già da molti anni sono consentiti/previsti cospicui aumenti di volume sia degli edifici esistenti che di quelli da demolire e ricostruire.
Il Piano Regolatore vigente e le due versioni del tanto contestato Piano Strutturale, in alcune loro parti, hanno ampiamente anticipato i dispositivi previsti dal “Piano Attila” di Berlusconi.

Infatti, il PRG attuale prevede che gli edifici considerati di epoca successiva e non compatibili con il contesto, possano essere demoliti e ricostruiti con un aumento del 10% delle loro SUL (Superficie Utile Lorda). Questo dispositivo premiale in realtà non ha significato la riqualificazione del tessuto edilizio, ma una sua deprecabile saturazione e ha incentivato la dismissione delle attività artigianali/produttive, certamente meno remunerative degli investimenti immobiliari che si potrebbero fare sulle stesse aree. Era proprio necessario?
E’ bene sottolineare che a questo incremento, complice il Regolamento Edilizio, se ne aggiungono altri sommersi, quali le superfici dei piani sottotetto, delle chiostrine interne e dei volumi tecnici (cabine elettriche, per il condizionamento dell’aria, scale esterne, extracorsa degli ascensori, e altro) che, nel caso di edifici demoliti e ricostruiti, si aggiungono alle superfici già gonfiate diventando stanze (oppure “altri locali”) senza venir considerati incrementi di superficie (e quindi di volume).
E’ proprio con questi sistemi che capannoni, tettoie, pollai e conigliere, oscurando le abitazioni vicine, si trasformano in ingombranti e redditizi edifici multipiani.

Infine, il Piano Strutturale sostiene che sia possibile tutelare la residenza (?) in ogni ambito urbano “attraverso il compimento della struttura urbana in tutti i casi in cui la città consolidata presenta dei tasselli planimetrici o altimetrici mancanti.
Al regolamento urbanistico è demandato di individuare i lotti rimasti inedificati e gli edifici sviluppati non oltre il primo piano fuori terra o comunque in modo disarmonico rispetto al contesto, che potranno essere oggetto di nuova edificazione, sopraelevazione o ampliamento”. Insomma con il nuovo Piano Strutturale sarà possibile ampliare e sopraelevare a piacimento, udite udite!, anche nei tessuti storici consolidati, sia centrali che rurali. Nella prima versione del piano si faceva riferimento alla “Densificazione Urbana”, poi, di fronte alle numerose obiezioni e contestazioni, questa è diventata il “Compimento della struttura urbana”, ma il dispositivo vergognoso resta lo stesso.

Se dovessero essere attuate le previsioni del piano, questa città diventerebbe un incubo, più di quanto già non sia oggi, con i vuoti urbani saturati da ampliamenti e sopraelevazioni, un continuum di cemento e di costruzioni che potrà sovrastarci.
La densificazione ovvero il compimento è proprio una scelta da perseguire? In nome di quali principi? Forse solo quelli cari alla rendita fondiaria e alla speculazione edilizia, la più distruttiva, non certo in nome degli interessi della collettività o in nome di politiche urbane e della casa socialmente eque.
Ribadiamo che il sistema dei vuoti urbani non può essere distrutto, è essenziale per un tentativo di riconversione in chiave ecologica di Firenze e del suo territorio, la porosità della città è un valore, il diradamento del suo tessuto può e deve consentire interventi che siano in grado di riaprire scenari di speranza e di progettualità future.

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